Fortitudo-Orlandina…… Fortitudo-Agrigento: questo matrimonio s’ha da fare!

immagine by agrigentooggi

Svegliarsi la domenica mattina, quando un’intensa settimana lavorativa è già alle spalle, e gli albori della successiva ancora non echeggiano all’orizzonte. Aprire gli occhi, godendo del prezioso sole, eterna costante a capeggiare il fortunato cielo siciliano, splendendo nel riflesso del mare che, proprio all’inizio di Ottobre, raggiunge il suo picco più alto di bellezza, quando la stagione estiva è ormai passata ed un lungo inverno è ormai alle porte. Domenica scorsa, però, non era una domenica come tutte le altre: ogni anno, in questo periodo, si è soliti rivivere l’emozione del bambino chiamato al primo giorno di scuola. L’emozione di un nuovo viaggio, con i suoi alti e bassi, le sue gioie e dolori, le delusioni ed i momenti di estasi, tipici della vita di ogni giorno, e che ancor di più, dunque, caratterizzano ciò che della vita stessa è una delle massime espressioni: la passione sportiva. “Il tifo è una malattia giovanile che dura tutta la vita”, scriveva Pasolini. Ed è proprio il riecheggiare di questa frase che dà il titolo a questo blog, lì dove la passione per la nostra Effe si sposa con l’amore per la palla a spicchi. “Quanto vorrei che ogni malato di questa splendida malattia, riuscisse a diventare untore presso i nostri concittadini”, mi sono detto più volte. Quante volte ho sognato che in ogni Domenica, nella quale la mia amata Effe scenderà in campo a difendere i colori della nostra città sul parquet del PalaMoncada, la partita delle 18 non fosse che soltanto l’apice di un festoso climax iniziato sin dalla mattina. Quante volte ho sognato piazza Cavour, piazza Stazione, in quelle domeniche mattina, con due semplici canestri, tanti bambini a scorrazzare con la palla a spicchi tra le mani e ad inseguire lo scroscio del bacio del pallone alla retina. Con il biancazzurro dei nostri colori tutto intorno. E con essi gioia, allegria, voglia di consolidare finalmente lo sposalizio tra la Fortitudo Agrigento e la città, eterni promessi sposi ma senza mai fede al dito. Non ho mai smesso di crederci, e mai mi arrenderò, perché sono convinto che sia davvero un peccato per tantissimi agrigentini non godere del meraviglioso spettacolo del PalaMoncada. Ma allo stesso tempo ritengo un peccato ancor più grave, per la Fortitudo, quello di non godere del meraviglioso calore che l’agrigentino sa tirar fuori quando deve difendere, tifare ed osannare la propria città, quando non è colto da quei raptus di autodistruzione che, a volte, o troppo spesso, lo caratterizzano. Una festa, insomma. Una festa che duri tutta la domenica delle partite casalinghe, e che si concluda con una degna cornice di pubblico al PalaMoncada: e se le partite quest’anno continueranno a seguire il canovaccio dell’esordio di domenica scorsa, statene certi, ci sarà davvero da divertirsi. Perché quale migliore biglietto da visita per una stagione che inizia con un derby vinto, in casa, dopo due overtime, contro una squadra blasonatissima, appena retrocessa dalla serie A, e che vanta americani fuori categoria, quali Triche e Parks? Che spettacolo!

La prima partita stagionale ci consegna la Fortitudo guerriera, combattiva e spregiudicata che volevamo assolutamente vedere dopo la bella stagione scorsa. La difesa sui due USA doveva essere la chiave del match, visto che Capo è costruita sostanzialmente per far determinare almeno l’80% delle azioni dai due americani, lasciando la restante quota nelle mani di promettenti talenti ancora in attesa di esplodere. E proprio la sofferenza iniziale di Ambrosin su Triche (chi non farebbe fatica sul fortissimo USA ex Trento?), così come le difese sul Pick-and-Roll, sono stati rebus difficilissimi da risolvere per Ciani. Il grosso timore era quello di vedere sfuggire via la partita già da subito, perché se nella metà difensiva non riuscivamo proprio a venire a capo delle giocate di Triche, nella nostra metà offensiva costruivamo poco. Un ottimo ingresso di Pepe ci dava respiro, con alcune belle difese e la solita spregiudicatezza in attacco: il suo gioco da 4 punti che ci riavvicinava sensibilmente all’Orlandina è probabilmente la prima svolta del match, che di colpi di scena però ne avrà tanti. Simone è spesso delizia, ma a volte anche croce: un paio di palle perse e di scelte offensive errate nella parte finale dell’ultimo quarto potevano costarci molto care. Ma Pepe abbiamo ormai imparato a conoscerlo: lui è fatto così, prendere o lasciare! E noi prendiamo, eccome! Nella prima parte di gara chi ci ha tenuti in piedi è stato il capitano: Marco, come il buon vino, a dispetto dell’età ormai non più verdissima, riesce a caricare sulle spalle la squadra nel difficilissimo momento iniziale, assecondandone il barcollamento ma non permettendole mai di mollare. E tutto questo lavoro, mentale, tecnico e fisico, risulterà probabilmente poi decisivo quando la partita si giocherà per vincerla. Monumentale anche la prestazione di Jalen Cannon: non ho più parole per questo ragazzo, che ha iniziato esattamente da dove aveva smesso. I continui raddoppi studiati su di lui dalla difese orlandine non hanno minato l’integrità fisica e mentale di Jalen che ne uscirà, ancora una volta, assoluto vincitore. Da 4, avendo giocato in quel ruolo gran parte della partita, ed ancor di più da unico lungo, in duello con Bruttini, nella parte finale del match. Già, perché una delle svolte della partita, dopo un grandissimo terzo quarto dei nostri giganti, è stata la scelta, nell’ultimo periodo, da parte di Sodini di schierarsi a zona. La “zonaccia” pura minava sensibilmente le certezze offensive dei nostri ragazzi, che non riuscivano più a trovare la chiave per scardinare la difesa avversaria, che costituiva adesso base solida per la rimonta che consentiva ai paladini di giungere all’overtime. Ma Franco Ciani non aveva ancora tirato fuori il coniglio dal cilindro, lo stesso che nella passata stagione è risultato essere spesso vincente, sparigliando le carte (e le difese) avversarie: e allora via con lo smallball! Ed ecco che Cannon e 4 piccoli riuscivano a scardinare finalmente la difesa orlandina, recuperando lo svantaggio che sembrava definitivo nel primo overtime, portando la partita al secondo. A dire il vero, decisivo risulterà il ruolo che proprio nei due overtime giocherà l’altro USA: Amir Bell. Amir sembra essere il “tipico americano delle squadre di Franco Ciani”: giocatore di sistema, che si inserisce in un meccanismo di squadra senza accentrare su di sé tante/tutte le soluzioni offensive. A dire il vero, i primi quarti sono sembrati un po’ “d’ambientamento”: abbastanza timido in attacco (ha rifiutato un paio di volte tiri facili), non ha avuto neanche un grossissimo impatto in difesa. Ma nell’overtime Amir ci ha iniziato a mostrare le sue qualità, prendendo in mano la squadra, con grande personalità, segnando una tripla importantissima, ed essendo autore di una serie di difese direttamente od indirettamente determinanti: è sua la difesa in extremis su Bruttini che induce l’ex Torino a sbagliare sul più bello, così come è sua la difesa che ha accompagnato Triche a sbagliare il canestro della vittoria orlandina sul finire del primo overtime (con tocco di retina? Probabilmente si… Diciamo che è andata bene così!). Ed è sua anche la difesa che ha indotto lo stesso folletto orlandino a perdere la palla che, forse definitivamente, ha fatto deporre le armi ai paladini. Giudizio sospeso, quindi, per un ragazzo che però sembra essersi inserito benissimo in un nuovo mondo, e con soltanto 20 giorni di preparazione sulle spalle, e che quindi ci auguriamo e pensiamo che potrà solo migliorare. Dopo le comprensibili difficoltà iniziali, bravo Ambrosin a non innervosirsi più di tanto e a riuscire a mettersi in partita nel momento giusto, con due triple mortifere per Capo. Buona complessivamente anche la prova dei due lunghi, Guariglia e Zilli: Giacomo soffre Bruttini, che lo porta a scuola nei primi due quarti in un paio di occasioni, ma resta sempre in partita, ed alla fine darà il suo importante contributo, sembrando in crescita rispetto alla scorsa stagione, probabilmente grazie anche al fatto che quest’anno ha potuto mettere sulle gambe, per la prima volta, un’intera preparazione da professionista. Anche Guariglia ha ripreso da dove aveva lasciato, alternando ottime giocate ad ingenuità clamorose, come la linea pestata dopo un rimbalzo difensivo preso o un importantissimo tiro dalla media preso (e sbagliato) con 12” sul cronometro, dopo un fondamentale rimbalzo offensivo della nostra Fortitudo, azione che ha fatto letteralmente infuriare Ciani (e noi sulle tribune). La sensazione è quella che se “il Guaro” riuscirà a mantenere l’intensità difensiva che mostra dopo un suo errore, anche nelle normali azioni di gioco, diventerà finalmente un lungo importante nella categoria. Concludo con Fontana: entrato in un momento clou del match, il ragazzo riceve un bel pallone piedi a terra dai 6 e 75: il risultato è stato un cross, che però Cannon raccoglie e deposita a canestro. Da allora in poi, la sensazione è quella che non prenderà mai più volutamente un tiro: forse un po’ per questo, forse per una gran visione di gioco, forse per entrambe le cose, nelle azioni successive nascono degli extra-pass niente male, che si traducono in bellissimi assist e punti facili nelle mani della nostra Effe. La sensazione è comunque che il ragazzo potrà essere utile alla nostra causa tenendo bene il parquet, e rendendo così veramente profondo il nostro roster, anche in vista del rientro di Sousa.

La vittoria del derby con l’Orlandina alla prima di campionato non può dunque non lasciare nella mente la gioia, le emozioni e la grande carica di adrenalina che ogni #malatodieffe ha provato. Tutto ciò, però, non può non unirsi al forte rammarico per aver visto sugli spalti grossomodo lo stesso numero di tifosi agrigentini ed orlandini. Credo umilmente che non sia mai troppo tardi per riuscire a celebrare le nozze tra la città di Agrigento e la sua Fortitudo: abbiamo un anno per provarci, e per riuscirci, con entusiasmo. E se Agrigento, per il DNA insito negli agrigentini e che conosciamo bene, nei suoi pregi e difetti, non si avvicinerà alla Fortitudo, ritengo valga la pena fare nuovamente un tentativo, più deciso, per portare la Fortitudo verso la sua città: solamente portando la Fortitudo verso Agrigento, si potrà provare a portare Agrigento (e gli agrigentini) verso la Fortitudo. Bisognerà non arrendersi, non cedere allo scetticismo della filosofia del “non cambierà mai nulla”. E’ un obiettivo troppo grande per essere accantonato. Perché Agrigento ha bisogno della sua Fortitudo. E la Fortitudo della sua Agrigento.