Quando tutto si ferma, quando ogni cosa ed ogni persona a lato a te è cristallizzata, quando sembra esser stata chiamata “stella”, dopo i canonici “un, due, tre”: è proprio questo il momento decisivo. Un pò come quando la difesa avversaria è stata quasi perfetta, ha chiuso ogni spazio, ogni traiettoria di passaggio, vanificato ogni schema, ed il cronometro, inesorabile, scorre velocissimo lasciandoti solo qualche secondo per non avere altra scelta che scagliare la più classica delle preghiere. Ed è proprio in quel momento, quando tutto sembra quasi perso, quando incroci gli sguardi dei compagni inermi e sfiniti da una marcatura perfetta ed incessante, che puoi fare un passo indietro. Anzi, è lì che fare il passo indietro si configura ormai come unica via di fuga.
Non è facile fermarsi, specie quando corri veloce, inizi ad assaporare il dolce sapore del lusso di quelle emozioni che ti sei conquistato di poter vivere, dopo una stagione al limite della perfezione. Tutti ti davano per spacciato. O quasi tutti. Ma la Fortitudo 2019-20, quella dell’anno del Coronavirus, ci ha emozionato, ricompattato, innamorato come poche altre. Ed il record di vittorie casalinghe stagionali, con una sola sconfitta e, peraltro, evitabile, tra le mura amiche, non è che la cartina al tornasole di una prima parte di stagione davvero stupenda. Una stagione che, fin ora, ha visto edificare mattoncino per mattoncino quelle basi solidissime sulle quali speravamo di riuscire a costruire ancora adrenaliniche emozioni tra fase ad orologio e successivi playoff. Una stagione fantastica che ha visto, fin ora, grandissimi meriti del suo allenatore, coach Cagnardi, che da neofita della categoria, e del ruolo di head coach fuori dalla sua comfort-zone reggiana, ha saputo plasmare mentalmente, tatticamente e fisicamente la squadra facendola specchio della sua anima. E se ogni tanto, forse anche per inesperienza nel ruolo, soprattutto tatticamente e nella lettura di alcune partite, specie in trasferta, è sembrata mancare qualcosa, alzi la mano chi può permettersi di imputare qualcosa fin ora al tecnico bresciano-agrigentino. Ed uno dei suoi meriti maggiori, a mio parere, è stato quello di far fare il salto di qualità soprattutto ad un giocatore: Simone Pepe. Da più croce che delizia, troppo spesso, degli anni passati, Simone è stato trasformato, partita dopo partita, nel giocatore di sistema che non immaginavamo, non snaturandosi ma mettendo al servizio della squadra le sue indubbie qualità. E, soprattutto dopo un inizio di adattamento, la nuova versione di Simone Pepe è davvero la migliore possibile. Complimenti a lui ed al coach, e grazie mille per le grandissime emozioni. Stagione dai due volti fin ora per James. L’inizio sembra quello di un autentico crack della categoria: uno dei migliori americani mai visti in A2. Ma qualche mancanza nella personalità, probabilmente, ha minato il percorso di crescita di questo talento puro: chissà che facendo un passo indietro, non possa ripartire anche lui, mettere la marcia giusta e non fermarsi più. Grandissima è stata fin ora anche la stagione di Easley, partito come un diesel ma venuto fuori alla distanza, da vero leader tecnico e caratteriale. Leader, appunto, che è tornato ad essere sotto i canestri del PalaMoncada Albano Chiarastella: bentornato, capitano! Ci sei mancato tantissimo! E vederlo giocare, per chi ama il basket è un’autentica gioia per gli occhi. Stagione difficile, forse anche per le grandi responsabilità difensive, dovendo marcare spesso le guardie americane avversarie, per Lollo Ambrosin, il quale però non ha mai fatto mancare il suo contributo: alla ripresa (perché tutti dobbiamo sperare nella ripresa), speriamo anche una migliore fortuna al tiro. Ottima la prima stagione da pro anche per De Nicolao in cabina di regia: quando gioca lui, la squadra corre, gioca, si passa la palla che è una meraviglia. Ed è proprio per questo motivo che il nostro 10 dovrebbe limitare un po’ di più il suo istinto che, per generosità, lo spinge troppo spesso a gravarsi di falli. Ma la vera grande sorpresa della stagione è stata la panchina. Se ad inizio anno le perplessità erano davvero tante, dalla bench sono arrivate spesso adrenalina, scossa, animo e … punti. Grandissimo impatto fisico e mentale, ad esempio, quello di Moretti, che nonostante i limiti palesi al tiro, è riuscito a dare un ottimo contributo specie nella parte iniziale di stagione. Poi, come è normale in un percorso di crescita alla prima stagione, una flessione che è durata fino all’ultima partita (fin ora, spero) contro Napoli dove ha sfoderato una prestazione sontuosa. Ottimo pure il contributo di Paolo Rotondo sotto canestro, a fare a sportellate con chiunque. E detto della grandezza di Pepe, e avendo salutato Fontana, abbiamo tirato fuori buon contributo anche da Peppe Cuffaro, ed intravisto ottime potenzialità in Veronesi. Ma il vero grandissimo plauso va fatto ai principali artefici: Cristian Mayer ed il presidente Totò Moncada, che hanno saputo fermarsi, fare un passo indietro, reinventarsi quando, dopo l’improvviso addio di Ciani, la paura di una deriva poteva anche essere fondata, e far tirare fuori una stagione al limite della perfezione. E soprattutto ottenendo un grandissimo obiettivo: far ritornare grandissimo entusiasmo intorno alla Fortitudo, e trasformare addirittura il PalaMoncada, a volte, in un’autentica bolgia.
Quel passo indietro che, a volte, quando tutto sembra perso, quando la paura “dà il LA” all’orchestra delle gambe, tue e dei tuoi compagni, che tremano all’unisono in gran concerto, quando in fondo a quel tunnel, tra quelle maglie avversarie così strette, il meraviglioso schiocco del bacio della palla a spicchi alla retina sembra solo un lontano miraggio, è spesso l’unica soluzione. Quel passo indietro che anche il nostro presidente ha saputo fare, privandosi di una grande somma di denaro personale per donare speranza alla città nel prepararsi a dover combattere (speriamo mai) contro il maledetto virus. Quel passo indietro che viene chiesto a tutti noi, rinunciando alla nostra quotidianità per ritrovare (finalmente) il nostro senso civico, solamente col “semplice” ma fondamentale gesto di restare a casa. Quel passo indietro che l’Italia, da nord a sud, e tra poco l’Europa ed il mondo intero dovranno fare, fermandosi insieme. Quel passo indietro che spesso, però, fa la storia: il grande ed indimenticabile Kobe, ma anche Dwyane Wade, Manu Ginobili, James Harden, o… Simone Pepe (rigosamente da 3) ne sanno qualcosa. Perché da quei passi indietro, fermandosi un attimo, hanno poi scagliato quel tiro decisivo che si è trasformato nel canestro della vittoria. E adesso, quel canestro dopo il passo indietro, anche per far si che i canestri tornino ad emozionarci davvero, deve farlo l’Italia intera. Uno step back decisivo per sconfiggere un maledetto virus, per una grande vittoria. Il più importante degli step back. #iorestoacasa.