Fortitudo 2018/19: Dalle stelle alle stalle. Colpevolmente.

Non scrivevo da tantissimo tempo. Non scrivevo dal tracollo di Capo d’Orlando, uno di quelli subiti in questa stagione, insieme a Trapani, Treviglio ecc. E non perché guarito miracolosamente dalla splendida “malattia” della quale sono ormai affetto da anni, sugli scaloni del Nicosia così come in piedi, in gradinata, al PalaMoncada. Ma perché nelle vittorie (poche) e nelle sconfitte (tante e brucianti) di questo finale di stagione, il canovaccio era sempre lo stesso, e la rabbia per una stagione che poteva regalare grandi gioie e si è convertita nella più fallimentare tra quelle disputate in Legadue, era ed è veramente tanta. Perché sono convinto che, senza le turbe di Marco e l’infortunio di Zilli, la nostra stagione sarebbe potuta essere decisamente diversa, sulla stessa linea del grandissimo inizio coronato con la vittoria di Bergamo. L’illusione fondata di poter disputare, con i nostri relativamente pochi mezzi, un campionato di vertice in un girone davvero mediocre, addirittura potendo sognare la promozione diretta, era forte. E come detto fondata, perché i suoi fondamenti erano certificati dalla grandissima abilità di coach, staff tecnico e società dimostrata ancora una volta nel costruire una squadra con principi corretti ed entusiasmanti. Il problema vero è che, anche quest’anno come in altre stagioni, all’ottimo lavoro estivo non è stato dato il giusto seguito nell’affrontare i problemi che si sono venuti a generare durante la stagione: perché altrove agli errori, alle sfortune, agli infortuni, si reagisce, e non si resta impassibili. Noi non lo abbiamo fatto, ed il risultato è stato un lento, progressivo ed inesorabile scivolare dalla prima posizione all’esclusione (probabile) dalla zona playoff. Così mi sono permesso di sfogare la mia delusione da tifoso in alcune riflessioni, probabilmente errate, che nell’assoluta incompetenza del mio ruolo da tifoso mi frullano per la testa da alcuni mesi.

Amir Bell: l’americano peggiore (dopo DBH) mai avuto da Agrigento. Scriviamolo subito, senza mezzi termini, per essere chiari. Un giocatore ibrido, senza un ruolo preciso, nel ruolo che più di ogni altro richiede precisione. E per gli amanti del concetto che “nella moderna pallacanestro non esiste più il playmaker puro”, rispondiamo subito che di certo la dote del playmaking, della regia della squadra, della longa manus del coach in campo, di certo non appartiene ad Amir. E che la pallacanestro ha delle naturali evoluzioni, ma è fatta sempre degli stessi chiari precetti, e che non si inventa nulla. Ma allo stesso tempo, l’enigma si infittisce: non un play, non una point-guard, ma neanche una guardia-ala alla KM1 o Perrin Buford, per restare in tema-americani della Effe. Qualche sprazzo di personalità qui e là ad inizio stagione, poi il vuoto. Giocatore fortemente dannoso, ed i numeri spesso mentono rispetto a quanto visto (e sopportato) per tutta la stagione.

Lorenzo Ambrosin: dopo l’exploit della passata stagione, per “Lollo” questa doveva essere la stagione della maturità. E, in un certo senso, lo è stata. Rispetto allo scorso anno, quando scorrazzava allegramente sul parquet leggero di mente, quest’anno, caricato di fortissime responsabilità sia difensive che offensive, Lollo ha risposto “presente”. Molto meno appariscente, infatti, dell’anno passato, spesso Ambro ha difeso sulle guardie americane avversarie, ed ha attirato su di sé le maggiori attenzioni delle difese avversarie. Sarebbe fantastico ripartire da lui il prossimo anno, ma sulla sua permanenza non scommetterei, sperando di essere smentito.

Marco Evangelisti: Cos’è successo a Marco? Questa frase è stata la colonna sonora per gran parte dell’anno. Problemi fisici, mancanza di serenità, misteri attorno alla sua condizione atletica, psicologica, motivazionale. Eppure, nei rari momenti nei quali il capitano rinsaviva, troppo poco spesso (per la verità), la qualità della Fortitudo si innalzava vertiginosamente, e vista la completa assenza di un playmaker in squadra, nei rari momenti di lucidità era proprio il capitano a fare le migliori giocate “da play” della stagione. Un pardosso, in una stagione complessivamente gravemente insufficiente: e non è dato a sapersi il perché.

Jalen Cannon. Santo subito. Grazie di tutto, Jalen. Fuoriclasse assoluto, professionista impeccabile, nonostante la lontananza da casa. Cuore, talento, grinta, fisico, emozione, presenza, tecnica. Spesso un’autentica “lavatrice”, per pulire tutti i palloni sporchi che i compagni gli hanno servito per tutta la stagione, e lui tiene botta, non fa una piega, attacca, segna, difende, soffre, lotta. Probabilmente anche lui il prossimo anno farà felici altri tifosi in qualche angolo sperduto d’Europa o del mondo che non sarà Agrigento, ma sicuramente non dimenticheremo mai il giocatore che abbiamo avuto l’onore di avere per due anni al PalaMoncada.

Giacomo Zilli: Doveva essere la sua stagione: il primo anno vero, dall’inizio, da pivot titolare in un campionato importante come l’A2. Una pre-season incoraggiante, la prima potendo fare tutta la preparazione fisica. E l’inizio d’anno è stato davvero promettente, grandissimo artefice dell’avvio sprint della nostra Effe: i suoi giochi in alto-basso con Cannon, i suoi blocchi, la sua grinta sotto canestro di certo sembravano il preludio per una stagione importante. Un brutto infortunio, però, lo ha messo fuori causa, e non sapremo mai che stagione sarebbe stata con lui in campo.

Tommaso Guariglia: stagione horror, nella quale vince per un mese (Marzo) anche il premio di miglior Under. Roba da non credere. Paradossi ai quali però Guariglia ci ha a lungo abituati. Un lungo che gioca da guardia tiratrice, che fugge dal pitturato come se ci fossero mostri paurosi, che non fa mai un blocco per favorire l’azione o il tiro del compagno. Ed un atteggiamento troppo spesso compassato e dimesso. Unico modo di giocare: venire fuori, in punta o in angolo, e tirare da tre. Di continuo. E con percentuali horror (vi ricorda qualche pescatore alaskano?). Per tutti questi motivi, per Guariglia è stata una stagione davvero negativa anche dal punto di vista ambientale, visto che parte del pubblico lo ha più volte beccato per il modo di giocare. A Marzo, finalmente, segnali di risveglio, per lo meno nell’atteggiamento: lotta, ha grinta, vuole smentire le critiche, ma troppo poco davvero per salvare il salvabile.

Simone Pepe: stagione veramente negativa. “L’uomo in più”, per tantissime partite, è stato l’uomo in meno. L’uomo che doveva spaccare le partite a favore della nostra squadra, troppo spesso, per frenesia, lo faceva per le squadre avversarie di turno. La cosa che più manda in bestia e che lascia basiti, è il fatto di non aver visto, in due anni, una benché minima evoluzione da un punto di vista mentale nella diversa gestione dei vari momenti delle partite. “Pepe è questo, prendere o lasciare”: da due anni al PalaMoncada si ode questa frase. Ma un minimo di conoscenza delle varie fasi della partita serve tantissimo, perché non si può giocare sempre e comunque allo stesso modo, ovvero tirando sempre e comunque e da ovunque: perché se una volta ti va bene (Biella), per altre 10 almeno ti va male. Da rivedere il suo ruolo possibile in serie A2, con tante perplessità.

Dimitri Sousa: La sorpresa migliore della stagione. Grinta, carattere, voglia, ignoranza, capacità di spaccare le partite. Ma anche ingenuità, inesperienza, impulsività, carenze tecniche, tattiche e difensive. Ma Sousa ha trascinato la squadra nei momenti più bui della stagione, e l’ha chiamata alla carica in tante fasi delle partite in cui, solamente lui, riusciva a fare qualcosa di diverso, con le sue triple ignoranti, o con le penetrazioni a canestro: unico giocatore di tutto il roster ad avere questa qualità. Da confermare, con allenamenti mirati e personalizzati da Luglio in poi, per fruttarne a pieno le qualità da diamante grezzo. Complimenti alla società ed al coach per averlo pescato dal nulla. Avremmo però voluto vedere molto di più sul parquet, specie in alcune fasi di partite nelle quali, probabilmente, uno come lui serviva eccome, e specialmente nel finale di stagione, quando troppo spesso è stato dimenticato in panchina. E magari, compatibilmente con la presenza di altri lunghi, anche nel ruolo di ala piccola, sfruttando l’eventuale costante mismatch favorevole con l’avversario di turno.

Edoardo Fontana: arrivato tra grandi aspettative generali, visto che è stato insignito nella passata stagione del premio di “under dell’anno”, Fontana ha chiaramente deluso alla sua prima (e ultima?) stagione in Legadue. “Diamogli tempo”, si diceva ad inizio d’anno. Ma le partite passavano, e con loro i mesi, e l’imbarazzo di chi intravedeva in lui del potenziale cristallino si accresceva, visto che di progressi veri e propri se ne percepiva appena l’ombra. Nel momento dell’infortunio di Zilli e delle assenze misteriose di Marco, Fontana entra addirittura in quintetto, essendo preferito a Pepe. L’anno scorso successe lo stesso con Ambrosin che soffiò poi definitivamente il posto a Zugno. Fontana però si dimostra di altra pasta, e le perplessità iniziali diventano man mano sentenze negative per questo ragazzo che, probabilmente, è troppo acerbo per la serie A2, almeno per questa stagione.

Giuseppe Cuffaro: altra stagione con pochissimi minuti per Peppe, agrigentino e fortitudino doc.

Francesco Quaglia: preso (molto tardivamente) per il finale di stagione e per gli eventuali playoff, Quaglia è stato impiegato con il contagocce nelle prime uscite, ed a parte qualche blocco ben fatto, alternato a qualche giocata “da pivot” che sembrava oro colato rispetto alle scampagnate fuori l’arco del suo collega Guariglia, poco altro da segnalare. Nella gara dell’anno, subisce Renzi oltremodo, ed in una delle azioni decisive si fa tagliare fuori da un nanetto come Clarke. Poco, troppo poco per essere giudicato. E soprattutto, per avere il diritto di farlo positivamente.

Staff tecnico: tanti gli alibi, tante le attenuanti, sfortuna su tutte, visti gli infortuni di Zilli ed Evangelisti (?). Però resta davvero fortissima la sensazione che si potesse fare molto, ma molto di più, innanzitutto reagendo alle avversità e non subendole, inermi. Rischiare Zilli nella partita contro la Virtus Roma, quando tutto il mondo sapeva di un suo infortunio in allenamento, è stato il preludio ad uno stop che ha rovinato la nostra stagione. Cosa sarebbe successo si non avesse giocato quei maledetti pochissimi minuti non lo sapremo mai. Capitolo Bell: non è un playmaker, ok. Bisogna sfruttarne le doti: benissimo. Ma perché non insegnargli, anche allo sfinimento, a sfruttare un gioco in post, visto il continuo mismatch con i suoi diretti avversari del ruolo? Davvero un mistero, anche perché, per il resto, troppo spesso è stato un giocatore inutile e dannoso. La scelta di Fontana in quintetto nel momento di maggiore difficoltà stagionale è stato l’emblema della situazione in cui c’eravamo cacciati, o ci siamo trovati, e dalla quale non siamo stati in grado di risalire. Troppo spesso i cambi di sistemi sono risultati tardivi, troppo spesso abbiamo subito storiche imbarcate, specie in trasferta, inermi. Capo d’Orlando, Treviglio, Tortona, Trapani ecc ecc ecc. Un peccato non essere riusciti a sfruttare quello che sembrava un nuovo miracolo di Ciani e co., ovvero un inizio di stagione scoppiettante che aveva fatto illudere tutte sulle potenzialità della squadra: ma era una bolla di sapone. Scoppiata definitivamente con l’infinita serie di sconfitte nel girone di ritorno, concludendo con le cinque finali. La salvezza come obiettivo raggiunto non basta affatto, in un campionato davvero mediocre come non mai, con Siena fallita e Cassino e Legnano che avrebbero fatto fatica anche in serie B.

Società: che anno è stato quello appena trascorso per la Fortitudo? Che anno è stato nel suo processo di crescita? La paura che sia stato un anno completamente inutile è fortissima. Le presenze al PalaMoncada sono state sempre minori: lodevole l’iniziativa di portare la Fortitudo ad allenarsi nei palazzetti della provincia, un peccato l’averla sospesa. Quello doveva essere solo un inizio, e sono sicuro che se avessimo continuato a seminare in quel modo, alla lunga (e ripeto e sottolineo “alla lunga”) i risultati si sarebbero visti. L’immobilità totale dopo l’infortunio di Zilli, facendo soffrire la squadra in emergenza per tutta la stagione ha sinceramente dell’incomprensibile e del gravissimo. L’arrivo di Quaglia è stato sicuramente tardivo, e l’inserimento di un giocatore più forte qualche mese prima avrebbe sicuramente portato la nostra Effe nei playoff, e probabilmente anche a lottare per la promozione diretta o, comunque, per le primissime posizioni, visto il nostro inizio di stagione e la mediocrità delle avversarie.

C’è da raccogliere i cocci, imparare (finalmente) dagli errori, e ripartire. E non credo proprio che nel prossimo turno tiferò Eurobasket per sperare di andare a fare la postseason. Assisteremo quindi probabilmente per la prima volta dopo tantissimi anni da spettatori ai playoff, ci rinfrescheremo un pò tutti le idee, ricaricheremo le batterie, e ripartiremo, più innamorati che mai, a seguire la nostra Effe anche nella prossima stagione, con grande amore ed entusiasmo. Perché da questa meravigliosa malattia non si guarisce, anzi: i sintomi peggiorano ogni anno di più!